Tre persone

I tre maestri che qui ricordo, sono tra loro diversi per stile, riferimenti teorici e valoriali. Di ciascuno apprezzo particolari aspetti che mi hanno aiutata a crescere professionalmente. In comune tra loro, hanno la competenza nel porre domande riflessive, pur nella diversità dei metodi e dei fini. Considero preziosa l’opportunità e il privilegio che ciascuno di loro mi ha offerto di sviluppare nel tempo un confronto franco e affettuoso.

 

Alessandra Stella, la maestra del cambiamento

Avevo trentatre anni, era autunno, e io mi occupavo di un corso per agronomi in qualità di tutor: Alessandra venne a fare lezione sulla comunicazione interpersonale .

Rimase con noi cinque giorni: attraverso le sue riflessioni, la sua capacità di porre domande, ognuno ricercava le sue risposte. Personalmente rividi tutta la mia vita con altri occhi: si affacciarono nuovi significati a dare complessità al mio vissuto. Insomma, per un agronomo preciso, dove tutto è causa-effetto, questa esperienza con Alessandra è stata qualche cosa di veramente straordinario: la caduta del “muro” dentro di me. Le mie parti interne adesso si potevano confrontare, potevano ricercare altre possibilità, molteplici chiavi di lettura.

Desiderai fortemente, ma fortissimamente essere come lei: sapeva ridare fiducia e autostima, ricollegava con ponti invisibili frammenti di vita a significati possibili, rimasti fino ad allora nascosti.

Mi piaceva: aveva un modo leggero per dire cose importanti. Con grande semplicità parlava di autori che non conoscevo: grazie a lei li sentivo accessibili, vicini e sentivo che avrei potuto leggerli. Senza farmi sentire inadeguata mi proponeva spunti per riflessioni che mi avrebbero cambiato la vita: mi aprì veramente la strada a un nuovo mondo.

Fu dopo un anno di conoscenza di lei , di me stessa e dei libri che via via mi proponeva, che le chiesi: “Alessandra, dici che potrei fare il tuo lavoro?” Temevo mi avrebbe detto “NO”, se non altro per i miei studi più tecnici che umanistici, ma lei mi guardò, e sentii che mi guardava dentro, ma proprio dentro, e mi disse “SI, TU SI”.

Toccai il cielo con un dito e decisi di crederle senza riserve.

Studiai ma non troppo, frequentai qualche corso ma senza esagerare, e soprattutto… grazie a lei trovai presto il coraggio e la forza di cimentarmi con l’ aula come fosse facile. Anche se non lo è. Ma è difficile, questo da spiegare.

 

Dante Bellamio: il maestro della ricerca di senso

Verso la fine degli anni ’90, ho conosciuto Dante per una coincidenza fortuita: fuggivo da una lezione noiosa da un master,e un’amica incontrata per caso nei corridoi dell’Università mi ha detto “vieni da noi, c’è un docente interessante”.

È così che ho visto Dante al lavoro: il suo modo di guardare, di costruire le frasi, gesti composti e decisi. Da allora l’ho “inseguito” in aula appena ne ho avuto l’opportunità.

Mi ricordo il tono della voce,la sua “seria leggerezza”, il suo intercedere per ipotesi, domande aperte, richiami di parole-chiave non preordinate, scarabocchiate velocemente alla lavagna quasi per non perdere il filo di un pensiero avvincente, ricco, complesso e affascinante. Non scorderò mai il suo rassicurante: “Ma non dobbiamo rispondere subito… vediamo, teniamolo lì, questo pensiero…”. Dante pensava a voce alta, sapeva arricchire il suo dialogo interiore con i nostri contributi, riusciva a proporci nuove ipotesi di lavoro, riflessioni frutto dell’incontro tra i suoi e i nostri pensieri.

Si interrogava a voce alta sul senso delle cose, sui molteplici significati del vivere nelle organizzazioni. Chiedeva a noi tutti senza risparmiarsi dal partecipare lui stesso alla ricerca, se davvero fosse possibile il ben-vivere per ben lavorare nelle organizzazioni; ci aiutava a riflettere sulle connessioni tra benessere e successo, e ancora quali potessero essere i diversi significati delle scelte, delle disfatte, delle affermazioni personali e organizzative, e ancora quali le connessioni tra sentimenti, azioni e valori. Con Dante ogni volta ho fatto esperienza di autentica consapevolezza umana e organizzativa.

Mi ha fatta orgogliosa e felice quando mi ha chiesto di essere sua “tutor” in alcuni seminari, e poi perfino docente al suo fianco alla Libera Università dell’Autobiografia.

Per me è stato magnifico vederlo lavorare, imparare da lui: Dante è un maestro che “si lascia imparare”.

 

Giorgio Nardone: il maestro delle domande strategiche

Ho conosciuto Giorgio una ventina di anni fa, quando la sua celebrità era ancora agli albori.

Gli chiesi una prima supervisione, più per curiosità che per convinzione per una mia consulenza aziendale davvero complessa. Ne seguirono poi altre, tutte utilissime per cavamela al meglio in situazioni davvero singolari e difficili. Ogni incontro con Nardone mi ha insegnato qualche cosa in termini di creatività, problem solving strategico, e in sostanza, e per usare un aforisma caro a Giorgio “a solcare il mare all’insaputa del cielo”. Ricordo bene i primi colloqui con lui: io arrivavo con la mia lista di domande, che lui mi restituiva puntualmente, con quel suo sguardo e un sorriso un po’ così, e mi diceva: “Tu, al posto tuo, che faresti?”. E solo allora io ci pensavo veramente: che farei al posto mio? Giorgio mi ha aiutata a spostare la mia attenzione dalla ricerca delle sue risposte alle mie domande – comportamento tipico di una persona tendenzialmente dipendente –  alla ricerca delle mie risorse, modalità più consona a una persona più autonoma. Questo passaggio non è  una cosa di poco conto. È così che ho cominciato ad apprezzare una consulenza, e a mia volta a proporne.

Poi certo che a volte non ci arrivavo da sola, anche interrogandomi, a una qualche pista sensata, diciamo, e allora Nardone attraverso originali riflessioni e metafore mi aiutava ad arrampicarmi sui problemi, a vederne più aspetti, a scendere, riprendere, risalire, sorvolare… quante volte mi ha fatto sorvolare su certi particolari per evitare di perdermi. Per andare al sodo. Alla ricerca dell’essenziale. Domande a imbuto. Consulenze veloci, dirette. Al punto. Senza sbavature. Lì. Presente.

“Arrivederci, chiamami se hai qualche problema”: così mentre mi accompagnava alla porta, nemmeno il tempo per un ripensamento, una riflessione teorica, un’astrazione in più oltre lo stretto necessario.

Avaro? Non direi. Essenziale? Indubbiamente si. Questione di abitudine, cercare di capire, entrare nel suo ritmo. Non facile, a volte frustrante. Ma certo, formativo.

Telefonavo anche dieci volte in un giorno per riuscire a parlare con lui. Che ansia. Che tranquillità poi la sua parola. Spesso era “solo” per avere da lui un’altra domanda: ma di quelle ben poste, che ti fanno fare un balzo cognitivo altrimenti improbabile. Per la mia esperienza, la forza di Nardone sta nelle sue domande. Le risposte… quelle si trovano, prima o poi. Ma sono le domande che permettono di aprire piste di ricerca. Questo è Nardone, per me maestro di domande strategiche.

Le persone non vogliono sapere perché stanno male, ma uscirne. E così le aziende. Non è tanto importante sapere perché ci sono certi problemi in azienda, quanto piuttosto risolverli. E con Giorgio, ho capito anche questo. Che poi, sono cose banali, a saperle. Ma è appunto questo sapere, diretto e veloce, che fa la differenza.

Certo, non sempre è così: ma il “sempre” e il “mai” portano a banalizzare, spesso a disprezzare teorie e tecniche che non possono essere vincenti per affrontare al meglio ogni situazione. Qui accenno solamente all’importanza di proporre ciò che è utile per ogni situazione. Ogni maestro per situazioni diverse. Usare sempre la stessa strategia sarebbe riduttivo: è invece estremamente stimolante ogni volta capire quale può esser quella più adatta. Come le medicine. Come gli utensili: una volta il martello, un’altra il cacciavite…

Importante è che “a volte” la giusta domanda è già di per sé la strada per la migliore soluzione.

Questo mio maestro mi ha affascinata anche con i suoi libri , le sue lezioni, la sua scuola di counselor strategico che ho seguito senza mai perdere il gusto della scoperta, il piacere di sorprendermi. Con Giorgio a volte mi sono anche sentita poco creativa: ho visto con lui come con nessun altro la prigione dei propri schemi di lettura, che davvero se capisci che non ti possono aiutare sono da lasciare, almeno momentaneamente: per quella volta, quella consulenza, quel gruppo , nella ricerca di altre posizioni, più adatte e vincenti.

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